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La Biblioteca Universale di Solomeo, un dono a mille anni

A sinistra: Tolomeo I Sotère (c.367 - 282 a. C.), busto in marmo coevo © 2023, RMN-Grand Palais/Dist. Foto SCALA, Firenze.
A destra: Busto di Adriano Imperatore

«Fondare biblioteche è come costruire granai pubblici»
Adriano imperatore

Solomeo, 28 Ottobre 2021

Avevo circa quindici anni quando con la mia famiglia lasciammo la campagna per la città, seguendo il sogno di tanti contadini come noi, di una vita più tranquilla e più affidabile, ma ahimè, sempre più lontana dalla natura, che ci aveva generato e accolto maternamente per tanto tempo con le sue albe, i suoi tramonti, il profumo e l’oro del grano, il calore invernale degli animali; ora tutto era cambiato, e gran parte della giornata la passavo al bar di Gigino, a Ferro di Cavallo, il quartiere perugino dove un po’ alla volta, con i pochi risparmi, avevamo costruito la nuova casa. E in quel bar, che ancora oggi considero la mia università dell’anima, avvenne a diciassette anni, il primo incontro con la filosofia, nientemeno che con Emanuele Kant, e “galeotto” fu un libro, la Critica della Ragion pura, che due studenti liceali, tra i più assidui frequentatori della variopinta gamma di persone del Bar Gigino, portavano con sé per studiarlo, e chissà come facevano in quella confusione.

Parlavano con ardore di quella disciplina a me quasi sconosciuta, e quel libro si rivestì di simboli; intuivo in esso il grande mondo del pensiero, ed esso assunse un valore straordinario per me; nei giorni seguenti girai per chissà quante librerie e bancarelle di libri dell’usato finché non ne trovai una copia, e la sera, dopo cena, quando tutto era quiete, cercavo di decifrare quelle parole così difficili e così attraenti, alcune delle quali, come quella che segue, erano destinate a diventare la mia guida, come ho detto e scritto diverse volte:

AGISCI IN MODO DA CONSIDERARE
L’UMANITÀ
SIA NELLA TUA PERSONA
SIA NELLA PERSONA DI OGNI ALTRO
SEMPRE COME NOBILE FINE
MAI COME SEMPLICE MEZZO

Quel mio primo incontro incantevole fu seguito, anni dopo, da un’altra esperienza che avrebbe impressionato la mia vita, e fu la lettura del libro di Margherita Yourcenar, Memorie di Adriano. Parlava di storia, ma parlava soprattutto di anima e di esistenza. Avevo ventitré anni, e fu allora che imparai a considerare il mondo nella sua vastità, a considerare il tempo nella sua durata, a meditare sull’anima con serenità e quiete.

Sarebbero trascorsi invece diversi anni, ne avevo circa venticinque, quando mia cugina Luisa, dopo la morte del padre, mi portò in dono una copia del Fedone di Platone appartenuta a lui; nel semplice gesto di donarmi quel libro e nei modi spontanei con i quali lo ricevetti nelle mie mani vi fu qualcosa che oggi appare alla memoria quasi come sacro. Era un libro ben custodito; lasciava capire le mille e mille volte che era stato sfogliato, e la delicatezza con la quale le pagine erano state voltate per non rovinare la legatura; e quante frasi, quante parole, sottolineate a matita rossa; mi viene da pensare a quelle matite di un tempo, doppie, da una parte blu e dall’altra rosse, quelle che usavano i maestri per segnare gli errori leggeri o gravi.

Quelle sottolineature sembrava mi parlassero di una passione antica, di un uomo nel quale chissà da dove era nata una intenzione quasi necessaria di conoscenza, e immaginavo quelle sere in cui, alla luce fioca delle lampadine di quei tempi, mio zio Orlando, nonostante la stanchezza del lavoro, rubava ore preziose al sonno per indagare con la poca preparazione scolastica che aveva, per interrogare la grande mente di Platone, quest’uomo, questo filosofo che secondo gli antichi greci era discendente addirittura da Poseidone.

Magari quel libro fu come un reagente positivo, e di fatto, da un tale evento ormai lontano, è nato il desiderio, e poi l’interesse, di avere più libri, di custodirli, di leggerli e di amarli? Certo essi ebbero una vigorosa influenza, e con il passare degli anni mi accorgevo che la mia voglia di conoscere era sempre qualche spanna più in su del numero di libri che acquistavo e del tempo necessario a leggerli.

Forse proprio tutto questo ha costituito come un’energia nucleare, un motore inesauribile della grande scelta per la quale oggi siamo qui amabilmente riuniti. Certamente nacque in me una sorta di venerazione per i libri, per il pensiero e lo spirito che vi aleggiava, impresso dalle potenti menti di tanti grandi del passato le cui ombre ora mi parlavano. Vi era una devozione tale, da parte mia, lo confesso, quasi una divinazione del libro, della sua materia fisica sulla quale era rimasta impressa in modo permanente la storia. Ogni libro vero, ogni opera importante, è ancor oggi per me, come disse Ruskin, il giardino di un Re, nel quale il sovrano benignamente ci accoglie, lasciando che ci beiamo della bellezza delle sue piante, del colore e del profumo dei suoi fiori, del balsamo che da essi esala, ma chiede quel rispetto che tutte le cose del Creato meritano.

Sono convinto oggi che l’universalità infusa nei loro scritti dai grandi pensatori è il dono forse più grande per l’umanità, e che di tale dono si nutre qualsiasi raccolta di libri, piccola o grande, purché di libri buoni, una biblioteca, quindi, che proprio per questo si nutre e si identifica con tale universalità. E se ogni uomo ha un sogno speciale, per l’arte, per la tecnica, per la storia, o che so io, tale universalità mi appare come un requisito insito nella grandezza dell’autore forse ancor più che nelle sue opere, per quanto fascino esse sappiano trasmettere.

Di fatto, insieme a Massimo, che con affetto e scherzosamente considero un po’ il mio Aristotele, un giorno, durante una delle nostre passeggiate ormai divenute un rito antico e sempre nuovo, riguardavamo le opere realizzate a Solomeo nel tempo con tanta passione: dal Bosco della Spiritualità, al restauro del Borgo con il Castello e la Chiesa, alla costruzione del Teatro, considerato da noi come tempio laico dell’Arte; alla cantina con la vigna, un omaggio alla Dea Madre, come Senofane ci insegna: «dalla terra tutto deriva», alla realizzazione del Monumento alla Dignità dell’uomo. Pensavamo che dopo tutto Solomeo, con le sue opere, fa pensare a un’elegia, un percorso umanistico che dalla spiritualità, in alto, passa alla storia, all’arte e alla cultura, al lavoro dell’uomo, artigiano o contadino, e alla celebrazione di quell’entità che di tutto questo è artefice secondo le leggi del Creato: la persona umana.

E ci siamo chiesti, un giorno in cui eravamo particolarmente euforici: «come potremmo continuare questo discorso nobile, cosa ci piacerebbe donare al mondo per i prossimi mille anni, sentendoci custodi del Creato»? Io sono un imprenditore di mestiere, Massimo è un architetto, e tutte queste cose per noi rappresentano il piacere di tentare ancora qualcosa di nuovo e di bello per l’umanità, come una serie di doni destinati a rimanere nel tempo. L’idea del tempo ci ha portato indietro, ad Adriano Imperatore, e ancora più lontano, ad Alessandro Magno, tutti e due uomini che seppero coniugare i sogni con le azioni a beneficio del mondo; ricordavamo che entrambi amavano i libri; Adriano pensava che chi fonda una biblioteca è come chi costruisce un granaio per lo spirito, e Alessandro aveva come uno dei più importanti generali Tolomeo, che nella nuova città di fondazione Alessandria volle edificare la più famosa biblioteca del mondo. E allora ci siamo detti: perché, pur nella nostra piccolezza, non seguire il sogno di quei grandi, perché non realizzare qui a Solomeo, quasi come una cosa necessaria e desiderata, una grande biblioteca, che grazie all’universalità del pensiero degli autori dei libri che la arricchiranno possa essa stessa perciò essere immaginata come “universale”?

Prospetto frontale della Biblioteca Universale di Solomeo, disegno su carta.

Pensammo proprio ai Tolomei, alla loro ciclopica visione di operare una grande custodia di tutta la sapienza umana conosciuta al loro tempo, e fare così di Alessandria la vera e propria culla della cultura di tutti i Paesi del Mediterraneo. Che sogno grandioso è questo ai nostri occhi! I Tolomei generarono effettivamente un monumento culturale d’eccezione, appunto, per il mondo intero. Ne nacque una biblioteca che con i suoi 490.000 rotoli divenne una delle sette meraviglie del mondo! Tolomeo I ebbe il genio coraggioso di raccogliere i testi dell’antica Grecia e in modo particolare dell’opera di Aristotele, e lui stesso era stato allievo di Aristotele, con gli altri giovani, allevati insieme ad Alessandro, futuri generali, e Diadochi, diffusori dell’ellenismo, quei ragazzi a suo tempo scelti da Filippo il Macedone, che associò al figlio per essere allevati alla guerra e alla sapienza. Ma pensavamo anche al figlio di Tolomeo I, che portava lo stesso nome del padre, e lo onorò proseguendo quella strada affascinante, incrementandola, inviando messi in ogni parte del mondo per raccogliere tutti i libri possibili, ed è affascinante quando obbligava le navi straniere in porto a far fare la copia dei libri che avevano a bordo, e poi restituiva loro le copie trattenendo gli originali! Fece predisporre un catalogo affidato a scribi e religiosi, e abbiamo immaginato quegli antichi eruditi chini sui rotoli, a studiarli, a classificarli, nel silenzio sacro di una costruzione immensa, che era compresa nel museo del grande palazzo reale. E ci venne in mente la frase sull’ingresso della Biblioteca sacra del complesso funerario del Faraone Ramsete II, citata da Diodoro Siculo: “Spezieria dell’anima”. Il primo responsabile-custode della Biblioteca fu il filologo Zenodoto di Efeso, e poi il famoso poeta Callimaco… Quale emozione immaginare Alessandria, che per un così lungo ordine di secoli sarebbe rimasta il centro del mondo per la sapienza umana! Non mi piace pensare alla sua distruzione, che infine venne con i romani, perché penso piuttosto all’eternità della sua sostanza storica, quella che rimane nel cuore di ogni desideroso della conoscenza. L’idea di quell’immenso granaio dello spirito – così Adriano Imperatore, l’ho già ricordato, considerava le biblioteche – mi appare ancora oggi in tutta la sua genialità; per questo mi dà forza, ed ecco il nuovo sogno, la nuova Biblioteca di Solomeo, che, come già accennato, mi piacerebbe immensamente di poter definire “Universale”. E dove costruire questo nuovo progetto, un posto speciale, per un progetto che a me e a Massimo sembra così ricco di valore?

Qui a Solomeo, con il castello, la Chiesa, il Teatro, l’anfiteatro e il giardino del Ginnasio, vi è come un’Acropoli laica, che ci piace pensare come un luogo che è di tutti coloro che amano le cose belle, le arti, la cultura. E proprio di seguito al Teatro vi è una splendida villa Settecentesca, che il proprietario, molto anziano, ha deciso di vendere. Si tratta di un complesso di villa e giardino con un grande parco che scende verso la valle, e venendo a Solomeo da Perugia, con i suoi cipressi e con i suoi lecci, ne costituisce come un immenso basamento di verzura. Mi piace allora pensare proprio a questa villa come nobile sede della “Biblioteca Universale di Solomeo”, dove vorrei iniziare a custodire, anno dopo anno, la sapienza antica di tante parti del mondo; dove chiunque, se lo desidera, può entrare per studio, per leggere un libro, ma anche per passeggiare nel parco, che in pratica diventa il parco pubblico di Solomeo, e che con il mio amico architetto pensiamo un po’ alla maniera della Villa Adriana di Tivoli, magari con qualche ricordo e qualche angolo che mi facciano pensare ai luoghi belli che mi hanno affascinato durante i miei viaggi in Grecia; e ancora mi piacerebbe anche piantarvi un orto, in omaggio a Cicerone, il quale diceva che «Se avrai una biblioteca e vicino un orto non ti mancherà nulla nella vita». Immagino la stessa Solomeo, il Borgo del Cashmere e dell’Armonia, come una sequenza ininterrotta e amabile di parchi, di edifici nobili, di strade piene di fiori, che dopo tutto, come immaginavo da tanti anni, è un giardino diffuso. Un po’ secondo quello che Strabone diceva della Biblioteca di Alessandria, composta di vari ambienti per il periodico simposio dei dotti, oltre che per altri tipi di riunioni importanti, come per esempio le assemblee-dibattito o i discorsi celebrativi, o anche per momenti conviviali. Questa è l’immagine che ho del nuovo progetto che a me sembra visionario.
E mi piacerebbe che i libri si prendano direttamente dagli scaffali, con il profumo del legno e della carta, con i lumi a luce verde, e si possano leggere al tavolo, ma anche su comode poltrone, accanto ad una finestra al di là della quale, volgendo gli occhi, si ammira l’incantevole paesaggio umbro. Gli scaffali saranno quasi vuoti all’inizio, perché una biblioteca è come un desiderio sospeso tra passato e futuro, destinata a crescere come un organismo vivo, così come mi sembrano vivi i libri stessi, nella loro fisicità, e vorrei che si potessero leggere solo qui, sulla carta, e non negli schermi dei computers. E sarei molto felice che i figli dei miei figli, nel tempo, amassero questo progetto e lo custodissero nei secoli.

Sono sempre stato affascinato dalla Filosofia, dall’Architettura, dalla Letteratura; a un gruppo di esperti sarà affidato il compito di scegliere le opere più classiche di ogni parte del mondo relative a tali discipline, una scelta non esclusiva, semplicemente perché l’umanità non ha confini. Ricordo un bel pensiero di Voltaire: «Io sto coi vecchi libri, perché mi insegnano qualcosa; dai nuovi imparo molto poco». E come dimenticare che secondo Montesquieu: «Finché non abbiamo letto tutti i libri antichi, non c’è ragione di preferire i moderni»?

E mi ha colpito un ricordo di Massimo, che mi ha parlato del Don Ferrante manzoniano, una figura amabile di persona che amava i libri non come un lusso erudito, ma come un intimo piacere dell’anima.
Però è bello vivere il mio tempo, sapere come il pensiero degli antichi sia interpretato con l’esperienza e la sapienza di oggi; per questo il tipo di libro che vorrei vedere negli scaffali della Biblioteca Universale di Solomeo è quello degli autori originali però pubblicati in edizioni attuali arricchite da introduzioni affascinanti, semplici e profonde, da leggere magari dopo aver terminato il libro, e non prima.
Nella sapienza dell’uomo io vedo la sua spiritualità, e questa spiritualità, mi sembra, ha natura universale. Oggi abbiamo bisogno, credo, di ritrovare i veri valori spirituali, quegli ideali che sono permanenti perché umani, e sono convinto che i libri siano uno dei viatici migliori per raggiungere tale fine. Ma dopo tutto, pensando a trecento, cinquecento, mille anni, il fine che mi spinge al nuovo grande impegno della Biblioteca Universale di Solomeo è anche il desiderio di fare dono alle generazioni avvenire di un luogo dove il passato richiami l’attenzione verso il futuro, un domani radioso che ci attende, e anche un dono alle generazioni passate, perché penso che se i libri sono l’alimento spirituale per i giovani, sono però anche la gioia della vecchiezza. Ho la visione di un Foro delle Arti dove il Teatro, l’Anfiteatro, la nuova Biblioteca Universale con il suo parco aperto al pubblico, sia un luogo diffuso, aperto e attrattivo, luogo di incontro ideale, come negli antichi parchi dei filosofi, o come nella stessa Biblioteca di Alessandria, dove si insegnava, si leggeva, si discuteva, si lavorava e nel tempo del riposo si sostava insieme in amabili simposi, all’aperto o al chiuso, secondo la stagione.
E concedetemi ancora una citazione conclusiva, che esprime lo spirito forse più vicino alla mia idea di Biblioteca, e si tratta di alcune parole del Petrarca: «Interrogo i libri e mi rispondono. E parlano, e cantano per me. Alcuni mi portano il sorriso e la consolazione, altri mi insegnano a conoscere me stesso».

Gli studiosi esaminano i rotoli della biblioteca di Alessandria © 2021.
Mary Evans/Scala, Firenze

La Biblioteca di Alessandria

Riflessioni e note storiche

La Grande Biblioteca della città di Alessandria, la più nota e importante biblioteca del mondo antico, una delle più straordinarie opere dell’umanità di tutti i tempi, nacque nel III sec. a.C. per volere del primo re d’Egitto, Tolomeo I (367-282 a.C.).
L’idea di una simile impresa culturale passò da Aristotele, ad Alessandro, e da questi a Tolomeo.
Da Aristotele Alessandro Magno aveva appreso gli insegnamenti di etica e di scienza politica, ma anche l’amore per la conoscenza in generale e per la ricerca filosofica in particolare. Del resto lo stesso Aristotele fu probabilmente il primo dei filosofi dell’antica Grecia a predisporre nel suo Liceo una biblioteca sistematica , pensata come un fondamentale strumento di lavoro per approfondire nello specifico lo studio delle scienze sperimentali da lui fondato. Il nucleo iniziale del patrimonio librario di Alessandria fu costituito proprio dall’opera omnia di Aristotele.

Il lavoro di raccolta, conservazione e archiviazione dei materiali – sostanzialmente papiri e pergamene – venne svolto dagli scribi, ma affidato anche alla cura e alla custodia dei sacerdoti, i quali erano ben istruiti e avevano le competenze adeguate per una simile opera filologica.

Il progetto della Grande Biblioteca sarebbe stato perfezionato dal figlio di Tolomeo I, Tolomeo II (282-246 a.C.), che maggiormente ha contribuito all’ampliamento e arricchimento dell’archivio dei testi.
Non è giunto a noi alcun resto o reperto di questa splendida cattedrale della cultura dell’antichità; pur tuttavia la Biblioteca di Alessandria rappresenta un simbolo eterno di quel sogno e di quello sforzo enciclopedico di raccolta, in un unico luogo, di tutto il sapere universale del mondo allora conosciuto.
La città era stata fondata proprio da Alessandro Magno, nell’anno 331 a.C. È comunque nell’epoca tolemaica che Alessandria divenne il più importante centro commerciale dell’intera area del Mediterraneo.

Forte anche della propria strategica posizione sul mare, la città si espanse molto in un tempo relativamente breve e venne significativamente abbellita sotto i successivi sovrani.
Se da una parte Tolomeo I desiderava conservare e preservare tutto il sapere delle culture conosciute a vantaggio dei fruitori della Biblioteca di Alessandria, così da rendere istruito e “saggio” il più ampio numero di persone, dall’altra la sua nobile idea era anche quella di tramandare quell’enorme quantità di testi alle generazioni future.
Ne nacque una delle Sette meraviglie del mondo antico, arrivata a custodire circa 490.000 rotoli di papiro, più i circa 42.800 dell’annessa Biblioteca del Serapeum (Serapeo), il tempio dedicato alla divinità Serapide.
Qui, come racconta anche lo storico Strabone, i volumi erano collocati in locali chiusi siti all’interno del cortile colonnato del tempio.
La grande Biblioteca sorgeva all’interno del palazzo reale, nel cosiddetto Museo, dedicato alla musica, e imponente centro di cultura greca per gli studi accademici, l’astronomia, la meccanica e la medicina, dalla quale nacque la celebre “Scuola alessandrina”.

I lavori di costruzione dell’edificio iniziarono intorno al 290 a.C. sotto la supervisione del filosofo Demetrio Falereo, che si era formato presso il Liceo aristotelico come allievo diretto di Teofrasto, successore di Aristotele.
Nella Biblioteca di Alessandria venne compilata la prima versione greca delle Scritture ebraiche, vale a dire quella che è nota come “la Bibbia dei Settanta”.
Tolomeo II arrivò a rivolgere un appello a tutti i sovrani della Terra conosciuti per sollecitarli a inviare ad Alessandria qualunque opera in loro possesso, di qualunque argomento, contribuendo così a fare bella, varia e grande la Biblioteca Universale.

La Biblioteca Universale di Alessandria ebbe direttori illustri, fra i quali Eratostene, Aristofane, Aristarco di Samotracia, e Alessandria stessa divenne una tappa fissa per tutti gli scrittori e poeti e scienziati del tempo, e il primato della sua enorme Biblioteca rimase saldo durante tutto il periodo ellenistico. Tra i più illustri nomi di sapienti innamorati di Alessandria ricordiamo in primo luogo Euclide, il grande matematico che ha contribuito in maniera determinante alla diffusione delle idee pitagoriche.
È molto probabile che vi sia stato, tra i suoi allievi, anche il siracusano Archimede, il quale operava presso la corte di Ierone II e che di Euclide sarebbe diventato il successore. Nel tempo la Biblioteca di Alessandria subì diversi incendi. Il primo di essi ci fu nel 48 a.C., sotto l’impero di Giulio Cesare.

Ottaviano Augusto, come avrebbero fatto poi Adriano e Antonino, dedicò grandi premure alla città e alla biblioteca; a partire da Caracalla ebbe inizio la vera e propria decadenza della capitale egizia, poi aggravata notevolmente sotto Aureliano e ancor più sotto Diocleziano. Sotto Traiano una serie di distruzioni avrebbe cancellato in breve secoli di magnificenza e lo storico patrimonio monumentale di Alessandria.
Ai diversi incendi e distruzioni seguirono sempre altrettante ricostruzioni, fino al più grave e definitivo episodio avvenuto per mano turca nell’anno 641 d.C.
Però nonostante tante sciagure, la grande Biblioteca Universale di Alessandria non fu distrutta in un unico, violento gesto per volontà di un unico capo, romano, cristiano o musulmano. Essa, probabilmente, avrà semplicemente seguito il declino della dinastia tolemaica, venendo quindi progressivamente distrutta dall’incuria, in quanto venuta meno quella preziosa, tenace e nobile opera di custodia che aveva concorso a renderla, appunto, una delle Sette meraviglie del mondo antico.
Una citazione antica del Vescovo e scrittore greco Epifanio, vissuto nel IV secolo dopo Cristo, riassume con particolare fascino la storia della Biblioteca di Alessandria:

«Dopo Tolomeo I vi fu Tolomeo II re di Alessandria, detto Filadelfo, il quale fu un uomo amante del bello e delle lettere. Egli fondò una biblioteca nella città stessa di Alessandro nel cosiddetto Bruchion (questa è una zona della città ora abbandonata), e la affidò a un certo Demetrio Falereo con l’ordine di raccogliere i libri che si trovavano in ogni parte del mondo. Scrisse lettere e fece pressione su tutti i re e i governanti della terra affinché non esitassero a inviargli i libri che avevano nel proprio regno e nel proprio dominio: intendo i libri dei poeti e dei logografi, dei retori e dei sofisti, dei medici e dei maestri di medicina, degli storici e di quanti altri ancora. Quando i lavori erano avanzati e i libri erano stati raccolti da ogni dove, un giorno il re chiese alla persona alla quale era stata affidata la biblioteca quanti libri fossero già stati collezionati. Questi rispose al re dicendo: “Ci sono più o meno 54.800 libri. Ma sappiamo che nel mondo ce n’è ancora un’enorme quantità, presso gli Etiopi e gli Indiani, i Persiani, gli Elamiti e i Babilonesi, gli Assiri e i Caldei, i Romani e i Fenici, i Siriani e i Romani che vivono in Grecia (che non erano ancora chiamati Romani ma Latini). Ma anche a Gerusalemme e in Giudea ci sono le sacre scritture dei profeti, che parlano di Dio e della creazione del cosmo, e di ogni altro insegnamento di comune utilità. Se dunque, o sovrano, sembra opportuno a vostra maestà far pervenire anche questi libri, scrivete ai maestri a Gerusalemme ed essi ve li manderanno, in modo che vostra eccellenza possa collocare anche questi volumi nella sua biblioteca».

Brunello Cucinelli e Massimo de Vico Fallani

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