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- 2022 - Lettera ai saggi dell'Umanità
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- 2024 - Lettera di elogio alla Vecchiezza
Lettera di elogio alla Vecchiezza
Karl Stieler (1781-1858), Ritratto di Johann Wolfgang Goethe, Staatsbibliothek zu Berlin, Berlino (Germania) © 2024 Foto Scala, Firenze
Solomeo, 3 settembre 2024
Ora giunge la sera della mia vita, e gli occhi vedono il mondo attraverso il colore del miele che è quello della luce quando il sole, cadendo tra i monti, tinge d’oro ogni cosa. Ora per me tutto è più benevolo e disponibile, e io stesso divento più tollerante e paziente di quando ero un ragazzo.
Sta per iniziare una vita nuova, che mi affascina e mi intimorisce; ma diversamente da quando, tanti anni fa, andavo incontro al domani senza pensieri, ora mi viene da riflettere, cerco di capire come prepararmi al nuovo, mi metto a pensare a un piano, proprio come avevo imparato a scuola, partendo dalla riflessione sulle esperienze.
Mi accorgo però che il piano che ora vorrei concepire è di un tipo nuovo, non ha la stessa natura semplicemente pratica degli altri, ci si perde dentro come in un labirinto.
Cosa farò in questi giorni nuovi? Come risponderò alle domande? Come sarà la mia nuova immagine? Cerco aiuto per questi interrogativi, e sinceramente mi piacciono le parole di Schopenhauer sulla vecchiezza, anche se un poco velate di delusione; ascolto affascinato quelle di Seneca, morbide come carezze, ma forse anch’esse un poco malinconiche.
Allora, per sapere come regolarmi, ripenso all’atteggiamento di questo o di quel signore che conobbi in gioventù, com’era mio nonno, cui l’età avanzata non aveva rubato né il sorriso né la gioia di vivere, e gli aveva donato una saggia ironia. E scopro che, per chi lo vuole, questa fase della vita dona un fiore incantato, e questo fiore è quello della saggezza. Ora so raccontare di mille avventure favolose e vere, e i miei occhi vedono cose mai viste prima.
Rifletto, e credo che in fondo non c’è nessun piano da predisporre; c’è invece tanta forza, c’è nel cuore una sorgente che era piccola tanto tempo fa, ma ora, col tempo, è divenuta perenne e più grande. Per questo diceva Solone: “Divento vecchio imparando sempre molte cose”.
Smetto di credere che le cose dipendano solo dalla ragione, perché vedo che molte volte la mano del caso regala il successo anche a quanto è privo di logica. Vedo che in molte circostanze, come pensava Goethe, la felicità controbilancia l’infelicità, e, per questo mi sento un poco mistico, e sento placare il mio cuore che era divenuto un poco tumultuoso.
Tante cose ho imparato durante un viaggio che è stato ed è coraggioso, ma siccome il rumore del mondo per me ora, nella torre del mio studiolo di Solomeo, è attutito, e siccome intorno a me vi è più quiete, quel dialogo con me stesso e con gli antichi uomini che ho inseguito a lungo inizia a divenire un concreto e costante nutrimento divino. Quei grandi maestri del passato, quei saggi pensosi, mi parlano e mi dicono che la sera della vita, per tutti gli uomini e le donne, al di là delle religioni e delle culture, avvicina l’uomo al cielo.
Allora vediamo più luce, abbracciamo ampi orizzonti, e forse possiamo addirittura toccare con mano quelle stelle che tante notti abbiamo ammirato e desiderato, quando, nelle difficoltà, alzavamo gli occhi al cielo chiedendo loro di indicarci la via della vita.