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Solomeo, la forza concreta dello Spirito.

Discorso amicale ai giornalisti di tante parti del mondo.

4 settembre 2018

Miei stimatissimi giornalisti venuti da tutto il mondo e da molto lontano, mie stimate istituzioni, grazie di tutto. Devo dire che sono pieno di debiti di gratitudine, verso tutto, cioè, che voi avete fatto per la nostra impresa e per la mia persona. Voi sapete che il sogno della mia vita è sempre stato quello di lavorare per la dignità, morale ed economica dell’essere umano. Ho sempre immaginato in qualche maniera che l’azienda facesse profitto, senza dubbio, ma lo facesse con etica, dignità e morale, e che una parte di questo profitto andasse all’impresa per essere più solida, una parte ai suoi collaboratori, e una parte all’umanità, perché è nostro dovere abbellire e custodire l’umanità.

La prima parte della mia vita, sino più o meno a quindici anni di età ho vissuto in campagna. E ho dei ricordi affascinanti. Non avevamo la luce in casa, lavoravamo le terre con gli animali, quindi ho nel naso, negli occhi, i profumi, le forme, di questa terra in qualche maniera madre di tutte le cose. Non ho mai visto i miei genitori litigare, e devo dire che è meraviglioso il ricordo di mio nonno, esile, che sempre con un sorriso, alzando gli occhi al cielo, spesso pregava il Creato affinché mandasse la giusta acqua, il giusto vento, il giusto ghiaccio. È affascinante questa idea del giusto. Da lì in qualche maniera ho iniziato ad immaginare come condurre una vita tra il profitto e il dono in un modo giusto.

Poi verso i quindici anni, decidemmo di andare a vivere nella città, perché il sogno del babbo e di ognuno di noi era di lavorare in fabbrica. E fu un'esperienza abbastanza forte, perché mio babbo, robusto, non si lamentava mai del suo lavoro, né della durezza del lavoro, e né del suo salario, ma spesso parlava tristemente delle ingiuste offese che gli venivano fatte. E tornando la sera a casa, si domandava spesso cosa avesse fatto a Dio per essere umiliato. E questo devo dire che in un ragazzo di quindici-sedici anni, ti lascia un po’ così. Da lì mi sono detto: “Non so cosa farò nella vita, ma il mio sogno è quello di lavorare per la dignità morale ed economica dell’essere umano”. Ho vissuto questi dieci anni di vita al bar del paese, dove qualcuno ascolta sempre le tue pene. Il bar dove si discuteva di donne, di politica, di economia e teologia. Penso a quell’espressione tipica, tanto cara al grande Eraclito, mio maestro, quando dice che la “Polemos” è padre e maestro dell’umanità.

In queste meravigliose discussioni al bar, dove si parlava anche di filosofia, venni a conoscere la cultura di Kant, allora io poco più che diciassettenne, molto difficile, ancora oggi, figuratevi allora; ma rimasi conquistato da alcune sue incantevoli riflessioni: la prima grande espressione, quando dice: “due cose mi incantano: il cielo stellato sopra di me e la legge morale dentro di me”, poi, sentite che meraviglia, “agisci considerando l’umanità, sia per te stesso, che per gli altri, non come semplice mezzo, ma come nobile fine”.

Poi decisi di “lavorare con il cashmere”, perché immaginavo di produrre qualcosa che si possa lasciare in eredità, quindi un prodotto di altissima qualità italiana, di altissima artigianalità, realizzato cercando di rispettare l’umanità, cercando di rispettare la tolleranza, la dignità, di colui che lavora. E poi, amici miei cari, volevo che tutti, ispirandomi sempre alla vita dei miei fratelli e di mio babbo, lavorassero in condizioni migliori. Sapete, ognuno di noi, qualche volta, il giorno va al lavoro con quel mal dell’anima, che nasce con noi, e lavorare in un luogo leggermente migliore, crea, fa in qualche maniera la differenza: il grande maestro Jean Jacques Rousseau dice che l’essere umano è creativo in quel luogo dove tutto è in buoni rapporti con il Creato.

Poi decidemmo di trasferirci qui a Solomeo, che è il piccolo paese di mia moglie; io sono nato in un paese vicino, quindi vengo in qualche maniera da una cultura di paese. Decidemmo di restaurarlo, perché? Perché ascoltando il Genius loci e ascoltando la parola, consentitemi, sapiente, di questi nostri maestri, in qualche modo volevo sentirmi custode. È questo grande concetto che mi ha trasferito l’imperatore mio maestro Adriano quando dice: “Mi sento responsabile delle bellezze del mondo”.

In questa grande opera che abbiamo chiamato “Progetto per la Bellezza”, siamo stati più restauratori che edificatori, abbiamo restaurato in quasi trentacinque anni questo borgo che chiamiamo “Borgo del Cashmere e dell’Armonia”.

Nel restaurare ed edificare abbiamo ascoltato la sapiente parola dei nostri maestri, i quali ci hanno educato all’ascolto del “genius loci” o spirito dei luoghi.

Volevamo che questi progetti avessero una visione a tre anni, a trecento anni ma anche a mille anni. È in questo contesto che abbiamo edificato un “Teatro”, tempio laico dell’arte, una “Cantina” come omaggio alla “Terra Madre di tutte le cose” e un Monumento alla “Dignità dell’Uomo”.

Sempre mi ha affascinato la cultura greca, la cultura della polis, per la quale: “Se il portone di casa tua è pulito la tua città sarà pulita”. “È nostro dovere lasciarti una città più bella di come l’abbiamo avuta in eredità”. Non vi nascondo che vivo da italiano ma forse in greco ho sempre pensato.

Credo che abbiamo vissuto forse un periodo di crisi di civiltà, dove i grandi valori dell’uomo si sono in qualche maniera assopiti. Dice Eraclito: “Mentre le cose si riposano il mondo si rigenera”. E io credo che, stiamo vivendo un grande momento di rinascita, spirituale, civile, umana, religiosa, etica, e abbiamo bisogno di questo, perché abbiamo bisogno di tornare a credere nei grandi ideali, abbiamo bisogno forse di tornare a credere che non possiamo governare l’umanità solo con la scienza, forse abbiamo bisogno di unire mente e anima; un concetto tanto caro a Voltaire e tanto caro a Rousseau, tanto caro ad Apollo e tanto caro a Dioniso, da lì, dobbiamo in qualche maniera ripartire.

A voi più giovani, vorrei dire due cose importantissime. La prima: noi padri abbiamo cercato di trasferirvi questa idea dell’obbligo di “aver paura”. Abbiamo trasferito a voi questa idea che se non studi, andrai a lavorare e quindi al lavoro abbiamo associato un concetto di pena, e pertanto il lavoro di per sé ha perso la sua nobiltà, abbiamo dato al lavoro tutto quel peso, gli abbiamo tolto dignità morale ed economica. Il grande Lorenzo il Magnifico fa sedere Michelangelo a quindici anni ad un grande tavolo, vicino a grandi filosofi, proprio per dare la stessa dignità morale ed economica al lavoro, sia alle arti, sia ai mestieri. Guardate, c’è un grande tema che mi è stato sempre a cuore: “il giusto equilibrio tra profitto e dono”.

L’umanità è totalmente nuova, tutti conoscono tutto e abbiamo bisogno di comportarci in una certa maniera. Io oserei quasi definire questo messaggio e questo modo di comportarci, per certi versi, come una forma di capitalismo contemporaneo umanistico, dove da una parte c’è un rispetto per gli esseri umani, c’è il rispetto in generale per il Creato. Ho sempre immaginato che la cultura fosse il seme della civiltà e non vi nascondo che l’unica cosa di cui ho necessità sono i libri. E ancora Adriano dice: “I libri mi hanno indicato la via della vita e da grande la vita mi ha fatto comprendere il contenuto dei libri”.

Ho l’impressione che stiamo vivendo forse la più grande migrazione dell’umanità, e dobbiamo credere in questa sorta di integrazione attiva, e mi piace anche che nel nostro lavoro quotidiano non venga usata la parola globalizzazione ma “universalismo dell’umanità”. È questo su cui noi dobbiamo tornare a discutere. Penso che forse lavoriamo troppo, siamo troppo connessi, e questa connessione, in qualche maniera, è quella che genera una sorta di mal dell’anima ancora più forte, che io voglio chiamare “rumore informatico”. San Benedetto dice: “Cura ogni giorno la mente con lo studio, l’anima con la preghiera e il lavoro”; ecco, io credo che noi dobbiamo tornare a trovare un giusto equilibrio tra il lavoro e la vita.

Internet, non so se siete d’accordo, ha cambiato l’umanità, ma con questo meraviglioso e affascinante dono che il Creato ci ha fatto, che cosa dobbiamo fare noi? Cercare in qualche maniera di governarlo, perché ha appesantito il nostro mal dell’anima. Allora, mi piacerebbe, devo dire, insieme a voi, chiedere e supplicare questi grandi uomini così innovatori che io definisco i “giovani Leonardo” contemporanei, vorrei chiedere a loro di riunirsi, di discutere e di trasmetterci il modo di utilizzare queste tecnologie perché non ci rubino quell’anima che il Creato ci ha dato. Questo è il grande dono e la grande richiesta che io vorrei fare a questi nostri nobili uomini. Io sono abbastanza convinto che questo sia il secolo d’oro. Nel Cinquecento tornano i mercanti dall’America e portano patate, pomodori, mais, e cambiano gli equilibri europei. E lì in quel momento quel grande genio di Erasmo da Rotterdam dice: “Oh Mio Signore fammi vivere forse ancora un’altra ventina d’anni, perché sta arrivando il secolo d’oro”. Allora, di che cosa abbiamo bisogno? Noi abbiamo bisogno di persone per bene, persone illuminate. Noi dobbiamo vivere come dice il mio grande stimato maestro Marco Aurelio: “Vivi secondo natura, progetta come se vivessi per l’eternità, vivi come se fosse l’ultimo giorno della vita”.

E adesso vorrei augurare a tutti noi qualcosa di molto speciale: che il Creato illumini il nostro cammino, grazie immensamente.

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