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"Dalla Terra tutto deriva."
Senofane
Autunno-Inverno 2014
Tutte le volte che capita di leggere qualche brano dedicato alla terra, anche quando non si tratta di poesia, avvertiamo in esso un soffio di amore sconfinato per un mondo immenso, una dolcezza primaverile ricca di profumi e di colori, ma anche densa di significati profondi, che assaporiamo sempre, anche quando non sappiamo riconoscerli e interpretarli. Così Columella, il Vitruvio romano dell’agricoltura, così Virgilio, il cantore che adombrò la figura del Cristo in quella di Ottaviano Augusto, e così l’infinita schiera di autori fino a oggi. E come potrebbe essere diversamente, quando pensiamo alla Terra Madre, questa divinità del mondo, che sotto nomi diversi, da Occidente a Oriente, è riguardata, ancor prima che come madre, come sposa, fecondata dalla pioggia nella quale secondo la mitologia classica si nascondeva Giove, e come colei che partorisce l’intero genere umano, e anche il cibo che lo sostiene. I fisiocrati, nel XVIII secolo, nel clima culturale illuministico, avevano compreso bene quanto fosse alto il valore della terra per l’uomo, e dedicarono la loro intera vita ad un’agricoltura che non fosse in contrasto con i valori umani, ad un utilizzo buono della terra. Ai nostri tempi a volte la parola ‘sfruttamento’ viene utilizzata al posto di quella di ‘utilizzo’, ma questo non ci piace: ci fa pensare ad una terra trattata come un laboratorio chimico, un’idea così lontana da quella umana che ci hanno trasmesso i nostri padri, ferace e grassa terra, quando si andava dietro all’aratro, magari ancora tirato da buoi o da cavalli, tutti concentrati a tenere diritto il solco, mentre il profumo umido e caldo che esalava dalle zolle aperte ci stordiva. Ma proprio in questo rapporto antico tra la terra e l’uomo è il fondamento del mondo.
Anche in agricoltura, come quasi in ogni altra forma di attività, l’artigianato in alternativa all’industrializzazione è il garante della nostra umanità sempre rinnovata. Sarebbe sciocco credere che la terra possa invecchiare, essa che ha avuto in sorte una giovinezza eterna, simile a quella degli dei, essa che vien detta Madre di tutte le cose, appunto perché tutte le ha prodotte, e di nuovo e sempre le produrrà tutte in avvenire. Leon Battista Alberti sostiene che la vita in villa, a contatto con la terra, è un vero paradiso. E secoli dopo Oscar Wilde dirà che il rapporto padronale con la terra non dà la vera bellezza, che invece può nascere soltanto da condizioni di lavoro guidate dal rispetto della dignità umana. Dignità dell’uomo e dignità della terra sono un valore unico, il solo che può generare la vera gioia, quella che entra nel cuore e che si legge negli occhi di chi la rispetta. Ambrogio Lorenzetti ce lo fa capire immediatamente con la sua arte; e nel grandioso affresco senese detto del «Buon Governo», severo come un Giudizio Universale e allegro come una fiera campestre, la vediamo, realmente, questa dignità, questa bellezza sconfinata. Dobbiamo progettare per il futuro, a due, trecento anni … che terra lasceremo ai nostri figli noi, che oggi ne siamo i custodi? Sarà ubertosa e profumata come quella che ricevemmo dai padri? Le sere d’estate avranno ancora i nostri figli, come avemmo noi, prati di grano dove stendersi, e con gli occhi fissi nel firmamento sentire la loro appartenenza all’universo? Facciamo in modo che le generazioni future vivano a contatto con la terra come nel giardino di un re, un giardino di quelli antichi, dove la rosa, accanto al melo, cantava la primavera eterna.